Successo per l’esordio del 2021 della manifestazione: l’evento “Il caso Moro” è stato preceduto dalla degustazione dei vini della Tenuta di Frassineto. Presente la vedova di Paolo Rossi, Federica Cappelletti, con cui Veltroni sta girando un documentario, incentrato sulla vita di Pablito. Tra il pubblico anche il vescovo di Arezzo monsignor Riccardo Fontana. Lungo firmacopie finale dell’autore
Il Passioni Festival rompe un digiuno lungo un anno e nel primo evento live del 2021 incassa un grande successo, con numerosi partecipanti attirati nella Tenuta di Frassineto – in Valdichiana, alle porte di Arezzo – dall’evento dedicato al caso Moro, con protagonista Walter Veltroni. Duecento persone, sedute e ben distanziate nel rispetto delle normative anti Covid, hanno preso parte all’appuntamento, allestito nel giardino della villa secentesca della tenuta. La tiepida brezza estiva ha completato la cornice magica della serata, ricca di spunti, riflessioni e approfondimenti, conclusa con un sentito applauso e un lungo firmacopie dell’autore. Un antipasto della nuova edizione del festival, in programma nella seconda metà di luglio.
L’evento è stato preceduto dalla presentazione della realtà vitivinicola della Tenuta di Frassineto, con una degustazione dei vini prodotti dall’azienda aperta a tutti i presenti. Dopo il saluto di Marco Meacci, ideatore della kermesse, e di Alessandro Miserocchi, proprietario della struttura, è stato il turno di Walter Veltroni che – nel corso di un’intervista pubblica – ha parlato del suo ultimo libro “Il caso Moro e la Prima Repubblica. Breve storia di una lunga stagione politica” (Solferino), affrontando le tematiche trattate nel saggio, incalzato dalle domande dei giornalisti Salvatore Mannino, vice capo servizio della Nazione di Arezzo, e Guido Albucci, direttore di Arezzo24. Ma ha anche spaziato tra altri argomenti, concedendo una battuta sugli Europei di calcio (che sta seguendo per la Gazzetta dello Sport) e un’anticipazione sul suo prossimo lavoro: un documentario attualmente in lavorazione che sarà incentrato su Pablito Rossi, eroe del Mondiale dell’82 che aveva scelto la provincia di Arezzo per vivere e che è scomparso lo scorso 9 dicembre. Alla serata di Frassineto, ha partecipato anche la vedova di Paolo Rossi, Federica Cappelletti, che con Veltroni sta collaborando al lungometraggio. Tra le numerose personalità presenti tra il pubblico, c’era il vescovo di Arezzo, monsignor Riccardo Fontana. L’evento, coordinato da Marco Meacci e Mattia Cialini, era in collaborazione con la Tenuta di Frassineto e con Domenico Alberti, delegato aretino dell’associazione Dimore storiche italiane, e realizzato con il sostegno di Atlantide Adv e di Feltrinelli Point Arezzo.
Veltroni, rispondendo alle domande, si è addentrato nei misteri che hanno caratterizzato il caso Moro. “Io penso che Moro dovesse morire: aveva sfidato poteri troppo consistenti”, ha detto Veltroni, facendo di colpo immergere i presenti nella cupa atmosfera degli anni di piombo: “Anni terribili, perché averne nostalgia?”, ha aggiunto.
E poi il racconto del rapimento, i 55 giorni di angoscia e di attesa, prima del tragico epilogo. Una morte, quella dello statista, vissuta come “una grande sconfitta” ma anche come “una beffa”. L’auto con il cadavere fu infatti ritrovata in via Caetani a Roma, emblematicamente a metà strada tra piazza del Gesù, sede della Democrazia Cristiana, e via delle Botteghe Oscure, sede del Pci. Fu la fine per il compromesso storico tra democristiani e comunisti. “E fu l’inizio del declino delle Brigate Rosse che con l’uccisione di Moro pensavano di dar vita alla rivoluzione comunista e si ritrovarono con Pentapartito”, ha detto Veltroni. L’autore ha ripercorso le tappe del sequestro e delle indagini, gli errori, i depistaggi. E le condizioni che portarono all’omicidio. “Moro voleva rafforzare la Dc e avrebbe voluto togliere diffidenza ideologica dal Pci. Ma né gli Stati Uniti avrebbero accettato un governo con un partito comunista in un paese della Nato, né l’Urss avrebbe tollerato un Partito Comunista che si smarcava così platealmente da Mosca. Ricordiamo che per le sue idee di rinnovamento, il segretario del Pci Berlinguer, con cui Moro dialogava, subì un attentato in Bulgaria”. Certezze? Poche, ma una conclusione Veltroni l’ha offerta: “Quando Moro è stato rapito, penso che americani e sovietici abbiano preferito farlo morire”.